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lunedì 20 gennaio 2014

Vættir.

Sono seduto sulle scomode sedie del terminal 1 di Malpensa. Non sto a ripetervi quanto adori il moto continuo e quasi esasperato degli aeroporti, per me teatro di momenti indimenticabilmente belli e ohimé anche brutti. Un libro pieno di storie che si leggono negli sguardi che incontro sistematicamente con perfetti sconosciuti, il cui filo della vita tange, per un indissolubile momento, il mio. 

Non vedo l'ora di partire, e dalle vetrate che danno sulla pista noto che il boeing 737 della Norwegian (il "testa rossa", come dice mio nonno) è già in procinto di scaldare i motori.
Partire ha sempre fatto bene alla mia vita, anche quando andarmene voleva dire lasciare pezzi di me stesso. In quei momenti, spesso dominati dalla tristezza, allontanarmi mi aiutava a delineare ancor meglio il percorso per il domani in cui avrei voluto ritrovarmici.
Mi farà bene anche adesso, non ho dubbi.

Arriverò tra qualche ora ad Oslo, da cui prenderò poi il volo diretto ad Evenes. Lì aspetterò un paio d'ore, e poi decollerò per l'ultima breve tratta che in poco più di 20 minuti mi porterà all'ombra del fiabesco faro che domina l'abitato di Andenes.
Ho preparato sul mio cellulare una playlist degli autori più consoni ad accompagnarmi in un viaggio intersecato tra fiordi ed isole; per citare qualche brano, Wild Country (Wake Owl), Atlas Hands (Benjamin Francis Leftwhich), Home from Home (Roo Panes), Stay Alive (José Gonzalez). Canzoni in cui ritrovarmici protagonista, almeno in una strofa.


Venire qui nella mia Isola è per me un'esperienza quasi mistica, come da piccoli lo era rifugiarsi nella casa sull'albero. Casa che qui è fatta invece di spiagge, aquile, alci, renne, balene, orche, mare cristallino, pittoresche case di pescatori che salpano per l'Oceano nella speranza di trovare fortuna. E poi, lassù nel cielo, i meravigliosi giochi di luce della Nordlys, l'Aurora Boreale, che illumina il buio delle infinite notti polari di quel Regno che un tempo sarebbe stato di Odino. 
Questa Terra non è la mia seconda casa, ma è l'altra casa che mi appartiene. Terra in cui, un paio di anni fa, nascevano in me passioni ormai insediate nella mia vita, e calore che tutt'oggi provo a rincorrere con lo stesso furore di quei giorni.

Nell'ultimo periodo mi sento diventato tendenzialmente apatico ai sentimenti. Mi risulta estremamente difficile aprirmi, donarmi a chi prova a regalarmi affetto. Parto spesso troppo forte, sbagliando, ma una volta giunto ad un certo punto è come se una porta dentro di me si chiudesse, quasi lo facesse per salvaguardare il mio animo, finendo inevitabilmente di ferire coloro che hanno provato invece a stare al mio fianco. Ho capito che ferire chi ci vuole bene fa molto più male che essere ferito, e questa era una cosa a cui davvero non avevo mai pensato.


Ora parto per il mio viaggio.
Che i sospiri gelidi dei Vættir, spiriti che secondo ma mitologia norrena proteggono le selvagge coste norvegesi, siano invece in grado di scaldarmi il cuore.

Matteo.


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