Sono il visitatore numero:

giovedì 30 gennaio 2014

Il bagaglio arriva per tutti (o quasi).

Una settimana credo sia stata la scelta tempisticamente migliore che potessi fare, in modo di lasciare la Norvegia con quel velo ti tristezza atto a portarmi il desiderio di tornarci al più presto.
Quando giri per il paese, vai al supermercato o in pasticceria, e la gente ricordandosi di te. ti ferma per chiederti come stai e per quanto starai lì, vuol dire che sei diventato uno di loro. A più di 2500km dall'Italia vi sorge un pittoresco villaggio di cui, almeno con il mio cuore, ne sono cittadino.
Domenica ho fatto una piccola visita dell'abitato di Beik, piccolo villaggio sulla costa oceanica dell'isola. Il paesino si trova a meno di 5 minuti d'auto da casa mia, ci vivono qualche centinaio di persone. Si affaccia su una spiaggia incantevole, dove indipendentemente dalla stagione non è difficile scorgere qualcuno che vi ci reca a far galoppare il proprio cavallo, dipingendo idealmente quadri che nemmeno il miglior George Stubbs si sarebbe potuto immaginare. Lo scenario è meraviglioso, il modo il cui Bleik si inculca nel paesaggio circostante è poesia. L'aria che si respira passeggiandoci è però ricca di spaventoso mistero, è spettrale. Non sono rari i casi di marinai e pescatori di questa località con cui l'Oceano non fu lieve. Innumerevoli imbarcazioni distrutte dal mare sono state  poi riconsegnate alla spiaggia dalle correnti. Se ne esiste davvero una, Bleik allora è la città fantasma per eccellenza.


Il giorno successivo è stato invece il momento di fare ritorno in Italia.
Tornare nelle terre scandinave è stato un tuffo non indifferente nei ricordi più caldi del mio trascorso. Tante persone conosciute tra questi mari, sono entrate nella mia vita con la promessa di non uscirvi più. Alcune però l'hanno fatto. Accettare il proprio passato è anche riuscire a lasciare andare i ricordi, saperli perdere. Nessuno se ne va, se il suo cuore dice di voler restare, e questa è una cosa che bisogna sempre tener presente.

Aspettare il proprio bagaglio agli arrivi dell'aeroporto è come aspettare, nella vita, che arrivi il momento giusto. Bisogna saper cogliere il proprio, armarsi di sana pazienza. Ci sono coloro a cui arriva prima, e coloro che invece devono aspettare di più. Ma a meno che tu non sia proprio sfigato, il 'bagaglio' arriva per tutti.

Matteo

sabato 25 gennaio 2014

Andenes.

Andenes è l'abitato posto all'estremità nord dell'isola di Andøya. La sua forma stretta ed allungata, fa sì che ci voglia quasi un'ora d'auto per percorrerla da nord a sud, mentre molto meno ad attraversarla orizzontalmente. Specialmente qui ad Andenes, il costa-costa richiede, a piedi, sono una manciata di minuti.
La parte che volge ad oriente è divisa da qualche decina di chilometri di mare dalla Norvegia continentale. In questa lingua d'acqua, specialmente d'inverno, non è difficile scorgere i soffi di megattere e balenottere comuni che riaffiorano in superficie per respirare, e le pinne delle orche che vi giungono per banchettare con gli immensi banchi di aringhe. Ad occidente invece, l'oceano aperto, che con le sue infinite sfumature tra il turchese ed il blu intenso, è popolato da giganteschi capodogli. Ho sempre prediletto questa parte della costa, guardare l'orizzonte di fronte a me immaginando la terra promessa che vi sorgev
a da qualche parte là in fondo, chiamata America, era come volare nel vento.
A fare da spartiacque tra le due coste, rivolto verso nord, un imponente faro rosso tutt'ora in funzione.

La mattina seguente il mio arrivo, mi sono diretto a piedi verso la spiaggia. L'odore di salsedine, il canto dei gabbiani e del movimento delle onde, mi hanno fatto ricordare le ore che quotidianamente passavo seduto di fronte a questo straordinario spettacolo offerto dalla natura. L'acqua era calma, rispecchiava perfettamente il mio stato d'animo.
Non c'è neve, se non qualche cumulo gelato rimasto in ricordo delle più recenti precipitazioni. Le strade sono però cosparse di un pulviscolo ghiacciato che le rende quasi completamente bianche. 


Andenes, nella mia visione, non è un luogo che sprizza di gioia. Soffia invece un vento che sembra quasi portare tristezza e malinconia. Il nord della Norvegia è aspro e severo, e non lascia spazio ad altro. Qui ho imparato a convivere e compiacermi della solitudine.

Ci si può innamorare di tante cose: in primis delle persone, ma anche di situazioni, luoghi e quant'altro. Io, di questo luogo senza tempo né spazio, ne sono innamorato.

Matteo.

mercoledì 22 gennaio 2014

In viaggio.

Sembra che nulla sia mai stato scostato dal passato: i quadri, le candele, le luci, anche il profumo del legno -di cui le case qui ne sono composte per il 95%- è lo stesso: sono a casa.
E' bello tornare e percepire che l'affetto che la mia famiglia nutriva per me non sia diminuito affatto. I Rønneberg sono così, umanisticamente parlando, senza eguali. Al mio arrivo la tavola era imbandita con uova, salmone, pane appena sfornato, burro e brunost, tipico formaggio scandinavo la cui lavorazione gli dona il particolare colore marrone da cui poi ne prende il nome.(letteralmente brun-marrone e ost-formaggio).
Il viaggio è andato molto bene, questa volta senza alcun ritardo. Anzi, sono atterrato ad Andenes con più di 15 minuti di anticipo. All'aeroporto di Harstad/Narvik/Evenes, ultimo scalo che precedeva la rotta verso casa, ho passato due ore abbondanti praticamente solo. O meglio, c'eravamo io e Asbjørn, uomo di mezza età membro del personale aeroportuale, con cui ho avuto inevitabilmente modo di scambiare qualche parola. Qui nei mini-aeroporti del nord, gli aerei funzionano un po' come i pullman da noi: il piccolo velivolo è atterrato con già a bordo una manciata di persone dirette alla mia stessa meta, ha aperto le porte, sono salito ed è ripartito. In quei pochi minuti che mi dividevano da casa non potevo fare altro che scrutare dal finestrino con gli occhi lucidi per l'emozione.
Nella tratta Milano-Oslo ho avuto poi modo di conoscere persone interessanti, come una coppia parmigiana di autisti di pullman di linea diretti a Tromsø per godersi le Aurore Boreali, e Taru, tatuatrice e fotografa finlandese, sulla strada di casa dopo aver passato 5 settimane a casa del suo fidanzato sardo.
In questi momenti si diventa inconsciamente tutti parte di una stessa grande famiglia, fatta di storie diverse da regalarsi a vicenda, dispensate con incredibile naturalezza da sorrisi gratuiti e sogni da realizzare. La famiglia dei viaggiatori è realisticamente la più numerosa ed unita che ci sia.


Mentre aspettavo ad Evenes, un pensiero ronzava per la mia testa. Non ho potuto fare altro che riportalo sul primo foglio capitatomi tra le mani. Lo riporto qui sotto.


Ore 20.35, EVE airport

Sto così bene quando viaggio..e quando dico viaggiare, intendo proprio l'essere in transito da un posto verso l'altro, simbolo di quanto per me sia più importante la strada che si percorre piuttosto che l'arrivo. Vorrei una vita fatta di percorsi senza mai una meta precisa. La mia vita come un interrail, fermate mai troppo lunghe da lasciare che la noia possa sopraggiungere, ma cariche di emozioni da spargere poi per la strada che mi accingerò a percorrere, come polvere magica che renda tutto più ricco: i miei ricordi, il mio futuro, la mia speranza.
Ma anche se sono un nomade, mi auguro un giorno di poter entrare nella casa che sarà in grado di ospitare questa mia voglia di evadere, di non appartenere ad alcuno, di perseguire obbiettivi che 'ai più' risultano inconcepibili. E magari, in quella casa, sceglierò di restarci.

Matteo.

lunedì 20 gennaio 2014

Vættir.

Sono seduto sulle scomode sedie del terminal 1 di Malpensa. Non sto a ripetervi quanto adori il moto continuo e quasi esasperato degli aeroporti, per me teatro di momenti indimenticabilmente belli e ohimé anche brutti. Un libro pieno di storie che si leggono negli sguardi che incontro sistematicamente con perfetti sconosciuti, il cui filo della vita tange, per un indissolubile momento, il mio. 

Non vedo l'ora di partire, e dalle vetrate che danno sulla pista noto che il boeing 737 della Norwegian (il "testa rossa", come dice mio nonno) è già in procinto di scaldare i motori.
Partire ha sempre fatto bene alla mia vita, anche quando andarmene voleva dire lasciare pezzi di me stesso. In quei momenti, spesso dominati dalla tristezza, allontanarmi mi aiutava a delineare ancor meglio il percorso per il domani in cui avrei voluto ritrovarmici.
Mi farà bene anche adesso, non ho dubbi.

Arriverò tra qualche ora ad Oslo, da cui prenderò poi il volo diretto ad Evenes. Lì aspetterò un paio d'ore, e poi decollerò per l'ultima breve tratta che in poco più di 20 minuti mi porterà all'ombra del fiabesco faro che domina l'abitato di Andenes.
Ho preparato sul mio cellulare una playlist degli autori più consoni ad accompagnarmi in un viaggio intersecato tra fiordi ed isole; per citare qualche brano, Wild Country (Wake Owl), Atlas Hands (Benjamin Francis Leftwhich), Home from Home (Roo Panes), Stay Alive (José Gonzalez). Canzoni in cui ritrovarmici protagonista, almeno in una strofa.


Venire qui nella mia Isola è per me un'esperienza quasi mistica, come da piccoli lo era rifugiarsi nella casa sull'albero. Casa che qui è fatta invece di spiagge, aquile, alci, renne, balene, orche, mare cristallino, pittoresche case di pescatori che salpano per l'Oceano nella speranza di trovare fortuna. E poi, lassù nel cielo, i meravigliosi giochi di luce della Nordlys, l'Aurora Boreale, che illumina il buio delle infinite notti polari di quel Regno che un tempo sarebbe stato di Odino. 
Questa Terra non è la mia seconda casa, ma è l'altra casa che mi appartiene. Terra in cui, un paio di anni fa, nascevano in me passioni ormai insediate nella mia vita, e calore che tutt'oggi provo a rincorrere con lo stesso furore di quei giorni.

Nell'ultimo periodo mi sento diventato tendenzialmente apatico ai sentimenti. Mi risulta estremamente difficile aprirmi, donarmi a chi prova a regalarmi affetto. Parto spesso troppo forte, sbagliando, ma una volta giunto ad un certo punto è come se una porta dentro di me si chiudesse, quasi lo facesse per salvaguardare il mio animo, finendo inevitabilmente di ferire coloro che hanno provato invece a stare al mio fianco. Ho capito che ferire chi ci vuole bene fa molto più male che essere ferito, e questa era una cosa a cui davvero non avevo mai pensato.


Ora parto per il mio viaggio.
Che i sospiri gelidi dei Vættir, spiriti che secondo ma mitologia norrena proteggono le selvagge coste norvegesi, siano invece in grado di scaldarmi il cuore.

Matteo.


sabato 11 gennaio 2014

Mille giorni.

Il caffè che sale dalla moca pare che abbia quasi il rumore di onde, scogli e vento. Onde, scogli e vento, e non è un caso che torni a scrivere nel mio blog proprio ora. Onde, scogli e vento, nella mia isola norvegese ci sto per tornare un’altra volta, a un anno e mezzo dal mio ultimo toccata e fuga, e più di due anni e mezzo dalla fine di un’esperienza che ha riconsegnato un Matteo diverso. Non so se, e soprattutto non so con che costanza tornerò ad aggiornare questo mio spazio. Oggi però è già un primo passo.


11 gennaio 2014

Vent’anni sono un’età bellissima, dove il sole bacia il volto anche mentre piove, dove ci si crede pronti per essere adulti, dove ci si lamenta per i problemi senza sapere effettivamente questi problemi cosa siano. È  come sedersi in prima fila alle montagne russe e crogiolarsi tra la paura ed il vento che ci alza i capelli.
A vent’anni si sa ancora molto poco della vita, ma si ha la presunzione di poterla cavalcare.


Rileggere queste decine di racconti a questa distanza, temporale e fisica, mi chiude un po' lo stomaco. L'ultimo post è datato 21/06/2011, ci sono di mezzo quasi 1000 giorni. E in questi giorni, di cose ne sono successe tante, due anni e mezzo di emozioni che si sono susseguite senza sosta. A volte belle e a volte meno, ma pur sempre emozioni, e senza di esse la melodia della vita non sarebbe altro che il suono di una chitarra monocorda. Non so quanta voglia potrei avere di fermarmi qui a raccontarvele, perlomeno ora non lo farò. Tante cose nuove che hanno preso il posto di quelle che sono uscite.
Vita, un po' come una partita di shangai. Quando togli un bastoncino, speri sempre che non cada di conseguenza anche tutto il resto, ma a volte è capitato anche questo.

Ho avuto la fortuna immensa di poter visitare luoghi -nel mondo, e anche dentro di me- e Paesi che fino a qualche anno prima potevo solo indicare sulla cartina del mio libro di geografia, rimanendone affascinato ad ogni volto e ad ogni usanza diversa dalle mie che incontravo per la mia strada. Ho incontrato sprazzi d’amore, di paura, di povertà e di sogni, ed ognuna di queste cose ha lasciato qualcosa dentro di me. Più le cose, appunto, che le persone. Perché le persone non si fermano mai, possono entrarci nel cuore e a loro volta uscirci, in un attimo, facendo la cosa sbagliata. Ciò che ti resta dentro poi forma lo zaino che il cuore dovrà saper essere in grado di reggere quotidianamente.

A presto.

Matteo