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venerdì 6 maggio 2011

Cronaca del mio ieri.

Era ormai tardo pomeriggio qui al nord. Alzatomi qualche minuto fa dal divano, dove ho avuto il tempo di chiudere gli occhi giusto il tempo necessario per recuperare una parte di quelle energie che le diverse ore passate insonni durante le ultime notti mi hanno portato via, mi sono diretto a stentoni in cucina.
Il caffè delle sei di sera ha una sua storia particolare, che si distingue da quello classico mattutino: ricordo quando, qualche anno fa, prima degli allenamenti serali avevo preso l'abutidine di prepararmi il caffè dalla mia cara moca, che nonostante fosse talmente usurata dalla vecchiaia che pareva quasi avesse le rughe, preparava un caffè che di così buoni non ne ho mai più provati. Ecco, ora il vizio del caffè nell'inizio serata mi è rimasto; forse non del bere il caffè in sé, ma nel gesto e nella routine del farlo. Come succede poi nella vita, che all'inizio amiamo il risultato ma poi finiamo per innamorarci del mezzo. Ora mi basta prepararlo il caffè, averlo lì nella tazzina. Caffè poi è un tutto dire, perchè in realtà mi sto accontentando di questa cosa che si beve qui in Norvegia, più somigliante ad acqua sporca, ma questo è un altro discorso.
Istantanea della scena: lungo tavolo di legno scuro, due candelabri posti al centro; io seduto a capo-tavola “armato” di penna blu e quaderno a righe, tazza colma di caffè (imbevibile, oggi peggio delle altre volte) alla mia destra e, dietro essa, una grande finestra che dà a metà tra montagne e Oceano.
Lo scorrere della penna sul foglio e il movimento nervoso del mio piede facevano da irritante colonna sonora, ecco che così mi sono alzato per andare a mettere qualcosa sullo stereo. Ho fatto scorrere davanti ai miei occhi qualche playlist da abbinare al momento, fermandomi poi su quella che preparai con minuziosa cura e dedizione non molto tempo fa, playlist che avrei poi usato nel weekend con lei. Coldplay, James Blunt, Guns n' Roses, John Denver, Michael Bublè e persino una canzone di Shakira, quella che mi aveva dedicato e che ogni qual volta mi capita di risentire, il mio stomaco si chiude. Ventidue canzoni in totale, scelgo l'ordine di esecuzione casuale. Mi sono seduto sul divano, ho chiuso gli occhi per vedere e ho aperto quelli per ricordare. Dopo quattro canzoni e mezza, capisco che forse sarebbe stato meglio per me una boccata di aria fresca. La giornata primaverile mi aveva invitato ad andare là dove tanto mi piace stare, seduto con i piedi a penzoloni venti metri sopra l'Oceano.

È pazzesco come la gente del posto non apprezzi tutto questo, allora io me la prendo tutto per me. Arrivando da un mondo fatto di case, auto, cemento e smog, qui sto in paradiso. È libertà questa, sedermi su di una scogliera, ascoltare onde e gabbiani, vedere il sole riflettersi sulle acque che si scontrano contro le rocce di montagne che si gettano a picco nel mare, e, se mi va bene (successo tante volte), a volarmi sopra la testa sono maestose aquile marine. Qualche giorno fa, accadde qui un episodio che mi ricorderò per tutta la vita: ero seduto in silenzio, il vento soffiava forse più forte del solito. Abbagliato dalla luce che avevo di fronte, mi coprii gli occhi dai raggi del sole, quando venni avvolto da un'ombra. Era quella di una grande aquila che aveva fermato il suo volo a tre metri da me. Osservavo questo spettacolo immobile, lei in tutta la sua importanza posava il suo sguardo dove ero io a farlo qualche secondo prima. Collo biancastro, becco imponente, occhi gelidi. Una decina di secondi indimenticabili, poi mi ha guardato, ha spiegato le sue ali che parevano infinite ed è partita in volo verso l'orizzonte. Da quel giorno, ogni volta che mi siedo lì a guardare il mare, aspetto il suo ritorno.
Sapere che oltre quell'immenso c'è l'America mi fa sentire irraggiungibile.

Dopo una ventina di minuti, mi sono alzato per far ritorno a casa. Ho optato per allungare il giro, avevo bisogno di pensare e camminare mi aiuta a farlo, la mia mente va con le gambe.
Ho pensato a me, ho strizzato l'occhio a quello che mi aspetta e ho sorriso a quello che ho. Sono felice della mia vita. Certo, ci sono stati momenti difficili e di sconforto, ma da quanto ho capito che se vogliamo ricevere un sorriso dobbiamo spesso essere noi i primi a donarlo, le cose vanno meglio, ho cominciato ad apprezzare di più quello che ho. Ecco perchè, mentre camminavo sulla sabbia ancora bagnata per l'alta marea di qualche ora prima, mi sono fatto una promessa: nella mia vita cercherò di raggiungere i miei obbiettivi, seguirò i miei sogni per renderli veri. Alcuni spero di realizzarli, altri so che sarà dura. Ma ci proverò, magari riuscirò a vincere, perchè sono convinto che l'unica grande sconfitta arrivi solo nel momento in cui ti rendi conto di non averci nemmeno provato, che la paura di perdere non ti abbia permesso di partecipare.

Sono arrivato a casa, e appena dopo aver chiuso la porta mi sono spogliato e mi sono diretto subito in doccia. Avevo bisogno che quell'acqua potesse lavarmi anche dai miei dubbi e dalle mia paure. 


Se credi in un sogno, seguilo. Non ti assicuro che riuscirai a raggiungerlo, ma seguilo, fai di tutto per realizzarlo. Spesso la gioia più grande sta nella speranza che ti accompagna nel percorso per renderlo vero. 
Matteo

2 commenti:

  1. il tempo vola...resteranno meravigliosi e indelebili ricordi. Max.

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  2. I sogni sono il motore della vita, non vanno mai abbandonati. Tu stai vivendo in qualche modo un sogno, fatto di paesaggi straordinari e di aquile che danno un senso di libertà fantastico che nella solita routine italiana è difficile immaginare. Non pensare al domani,per ora cerca di continuare a vivere questo sogno come se non ti dovessi mai svegliare. Lu

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